Bologna. Hanno messo le lanterne rosse, dentro ai palloni di carta di riso. Non solo davanti ai ristoranti cinesi – come un tempo – ma sopra le insegne di supermercati, macellerie, bazar di valigie e zainetti, Internet point, magazzini di abiti per bambino uomo e donna, sterminate esposizioni di borse e scarpe. Le lanterne rosse annunciano che qui alla Bolognina, quartiere di Bologna, c'è un pezzo di Cina dove si compra tutto a prezzi che si credevano dimenticati. «Guardi questo trolley, che bello. È anche robusto. L'ho visto - a me sembrava uguale - in via Indipendenza e volevano 72 euro. Qui l'ho comprato a quindici». Marco S. è appena uscito dalla pelletteria Shangai di via Ferrarese, assieme a moglie e figlio. «Ho comprato anche lo zainetto per la scuola, 10 euro. Me l'ha consigliato un amico, di venire qui. E' ora di finirla, di pagare sei o sette volte un oggetto solo perché sopra c'è la "firma" di qualcuno. Certo, può anche darsi che la qualità non sia speciale, ma si è rotto anche il trolley che avevo prima. E l'avevo comprato in un negozio del centro». Le camicie da 3 euro, al Sin Sin import export, non fanno certo sognare. Ma con questi soldi, in un negozio “italiano”, non compreresti nemmeno i bottoni. E poi, basta aspettare.mercato della bolognina Ecco un furgone che si ferma, scendono due ambulanti bolognesi. Trattativa quasi a gesti, il dito che indica la merce, la ragazza cinese che dice: «Tre euro, cinquo euro» e cartoni di camicie, jeans e colorati abiti per signora vengono caricati sul furgone. Da domani saranno sui mercati rionali, «offerta speciale, camicia 15, jeans 20 euro». «Vengono tanti italiani – dice il ragazzo del Shangai – a comprare qui. Guardano, chiedono, toccano e chiedono lo sconto. E quando ci sono le fiere arrivano anche i tedeschi. Dove si può trovare una borsetta in vera pelle ameno di20 euro?». «I cinesi – dice il presidente del quartiere, Claudio Mazzanti – sono diventati un pezzo importante della nostra economia. Gli italiani prima erano diffidenti ma adesso entrano e comprano: e così riescono ad arrivare a fine mese». Solo le macellerie sono frequentate soltanto da altri cinesi: orecchie, cuori e reni di maiale noti attirano la clientela italiana. In crisi, da quando è iniziata l'influenza dei polli, anche i ristoranti. E così al China Town – decine di tavoli – in quella che era una fabbrica – lingue di anatra, medusa tritata, intestino di maiale saltato e quaglie secche alla salsa di soia sono gustate solo dai cinesi che lasciano un attimo laboratori e negozi. Le scarpe a 8 euro e le felpe a 10, alla Bolognina, hanno fatto abbassare anche i prezzi delle botteghe italiane: Tina abbigliamento, con i saldi, offre infatti camicie a 9 e 19 euro, Polo a manica lunga a 9 euro e jeans Carrera a 25. Altri cercano di resistere. Il Grande emporio Sterlino vende gli zainetti per la scuola (Invicta) a 56 e 65 euro, ma anche in questi ultimi giorni prima della scuola non c'è certo la fila. La Cina c'è anche dove non appaiono le lanterne rosse. Piazza dei Martiri, centro di Bologna. Un ambulante cinese vende zaini a 7 e 10 euro. Un altro offre tute a 12 euro, jeans Rainbow a 8 euro, jeans Just boy a l0. A cinque metri ci sono le vetrine di Giacomelli sport, un colosso dell'abbigliamento. Qui una tuta Champion costa 79 euro, i jeans Rifle 79,90 e 84,90 euro. In testa resta un dubbio: comprando a prezzi stracciati, forse si toglie lavoro a una fabbrica italiana. Ma basta controllare i cartellini per capire che, se non compri la tuta cinese fabbricata a Prato o alla Bolognina, non contribuisci comunque al salario di operai italiani. La tuta Nike, da Gíacomelli, oggi è in saldo, costa 59,90 Curo ed è «made in Malaysia». La tuta Adidas, 49,90 curo (senza sconto costerebbe 74,00) è «made in Romania». La felpa Oregon, a 34,90, è «made in Pakistan». L'arrivo dei prodotti cinesi (come già è successo con l'apertura dei discount) sconvolge già i prezzi di botteghe e supermercati. All'Oviesse una camicia costa 9,90 e con 10 centesimi in più «Promozione che coppia» te ne consegnano un'altra. Ecco «Mordi e fuggi, i prezzi da prendere al volo», con i jeans basic a 13,90,100% cotone, «made in Pakistan». Cercano di resistere - per ora - le mille vetrine di via Indipendenza. A1 Prenatal le scarpine «da 1 a 3 anni» costano 30,90 curo ma già scarpette simili si vedono sui banchetti cinesi, a 4 euro. Bata scarpe annuncia «nuovi arrivi, difficile resistere» ma tanti guardano i prezzi (79.00 euro) e resistendo tirano dritto. Anche L’Ipermercato Coop di Borgo Panigale non ha respinto l'assalto cinese. Ressa grande al reparto scuola, con i nonni che accompagnano i nipoti per gli acquisti. Ventiquattro pastelli colorati Stationery costano appena 1,99, e sono Made in China. Venticinque pennarelli Bipunta sono «Made in Italy» ma costano 4,50. Se però scegli lo «Student set», con 6 penne biro, gomma, temperino doppio, matita, evidenziatore paghi 1,49 (made in China). «Il prodotto – è scritto nei cartellini del Cima, importatore di Sesto Fiorentino, che sembra mettere le mani avanti – è realizzato da aziende impegnate a rispettare i diritti dei minori e dei lavoratori». La Cina non è più vicina, è qui da un pezzo. «Made» in quel Paese sono anche le macchinine Grand Prix costruite su licenza di Ferrari, Jordan e Williams. Cinese è anche Action Man, un pupazzone dotato di moto d'acqua (14,99 euro). Ma anche i giochi che costano molto, e sono garantiti da marchi internazionali come la Mattel, in piccolo, su un angolo dello scatolone, portano l'annuncio del Made in China. «Tesoro mio beve e fa la pipì» costa 51,99 euro e ha fatto un viaggio di oltre un mese, in nave, per arrivare fino in Italia. Era assieme ai giacconi 100% poliestere da 29,99 curo. Forse ha fatto tappa in India per imbarcare le felpe Mc Joy (15,99 euro) e in Pakistan per caricare i jeans – sempre Mc joi – venduti qui a 9.9 euro. In un angolo della stiva, un altro container di «lanterne rosse». Per annunciare nuovi pezzi italiani di China Town.

Articolo di Jenner Meletti, La Repubblica, 1 settembre 2005